"Jooble"

lunedì 17 ottobre 2011

Riflessioni su ipotesi di riforma fiscale.
Il sistema fiscale in Italia va rimodulato e semplificato.
Non è possibile combattere l’evasione fiscale con metodi repressivi, che nella maggior parte dei casi colpiscono sempre i soliti noti. Deve venir meno la sfiducia del contribuente nello Stato. Il cittadino deve sentire lo Stato “amico” e non vessatore.
Occorre che l’iniziativa imprenditoriale , sia individuale che societaria, sia libera da balzelli e lacci burocratici, essendo necessaria e sufficiente la sola partita iva e il deposito di bilanci e compagine societaria presso la stessa Agenzia delle entrate, nel rispetto delle norme igieniche e della sicurezza sul lavoro, e che le imposte dirette siano a carico del reddito dei singoli, persone fisiche e soci. Il reddito della società va tassato in capo ai soci ove distribuito, con prelevamento in acconto da parte della società della parte fissa di imposta più la parte variabile in base agli scaglioni di reddito, che per la parte richiesta a recupero dal contribuente daranno origine ad un credito d’imposta.
Il livello di tassazione pur nella progressività costituzionale deve avere una base imponibile fissa su cui calcolare l’imposta ad aliquota base, che può per redditi sino a €. 25.000 essere del 10%, del 15% per redditi sino a €.70.000, e 20% per redditi superiori ad €.70.000 ed una parte imponibile variabile composta dalla differenza tra il reddito conseguito e le spese sostenute nel corso dell’anno .
Le aliquote applicabili sulla base variabile potrebbero essere del 17% per la prima fascia, del 23% per la seconda fascia e del 21% per la terza fascia.
Le aliquote sarebbero quindi del 27% ( 10%+17%) sino a €.25.000, del 38% (15%+28%) sino a €.70.000 e del 41% (20%+21%) oltre €.70.000.
Una siffatta tassazione garantirebbe un gettito fiscale certo e una minore evasione fiscale in quanto tutti saranno interessati ad avere le certificazioni fiscali delle spese sostenute.
Più spese meno tasse ma anche meno indifferenza all’evasione contributiva e più disponibilità economica per i cittadini che avranno più potere di acquisto e incentivazione ai consumi.
Occorre rafforzare il vincolo europeo sul lavoro arrivando a un accordo che preveda stessi livelli retributivi negli stati europei per stesso tipo di lavoro. Verrebbe così disincentivata la dislocazione delle aziende verso Paesi ove il costo del lavoro è minore.
Nelle more occorre difendere il lavoro in Italia e nelle singole Regioni evitando la delocalizzazione tra regione e regione e fuori dal territorio nazionale, anzi incentivando la localizzazione delle aziende nelle regioni meno sviluppate.
Il “ made in italy “ deve essere vincolato alla collocazione nel territorio italiano di tutta la filiera produttiva.
Le materie prime, ove esistano, debbono essere prodotte nel territorio nazionale, le imprese debbono avere la sede e gli stabilimenti produttivi in Italia, le aziende di trasformazione debbono utilizzare prodotti di aziende italiane che abbiano prodotto i loro prodotti in Italia. Solo per le materie prime che non sono reperibili in Italia ci si può rivolgere al mercato estero.
Nel mercato del lavoro deve essere inserito un elemento di flessibilità che non diventi precarietà lavorativa.
Alle aziende deve essere possibile avere tre tipi di contratto lavorativo.
Un contratto a tempo indeterminato, che è il contratto naturale di ogni rapporto di lavoro, un contratto a tempo determinato triennale o quinquennale rinnovabile automaticamente per pari periodo ove non disdettato dall’azienda almeno sei mesi prima, ove il contratto ala fine del periodo non venga trasformato in tempo indeterminato, e un contratto a progetto per il periodo necessario allo svolgimento dello stesso. Durante il periodo lavorativo i lavoratori delle tre tipologie contrattuali debbono godere delle stesse prerogative e tutele. L’azienda che non rinnovi i contratti a tempo determinato non può assumere altri lavoratori con lo stesso istituto contrattuale né a progetto per pari periodo, salvo che il mancato rinnovo o eventuale licenziamento sia avvenuto per giusta causa. Il lavoratore allo scadere del contratto, o prima se convenuto con l’azienda, può interrompere il rapporto di lavoro; in tal caso l’azienda può sostituire il lavoratore utilizzando uno dei tre istituti contrattuali. Ai fini fiscali le aziende effettuano le ritenute ai dipendenti in base alle aliquote contributive fisse, mentre per la parte variabile sarà il lavoratore ad integrare la parte variabile. Invariabile la parte contributiva sociale.